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Cade in
quest’anno
l’ottavo
centenario
(1161-1961) del
completamento
delle mura
genovesi di
Porto Venere (l’oppidum
Portus Veneris
ceduto nel 1113
dai Signori di
Vezzano, grandi
marinai
originari di
Luni ai consoli
del giovane
comune di
Genova) e le
competenti
autorità della
Spezia e di
Porto Venere si
apprestano a
celebrarlo
degnamente con
una
manifestazione a
fondo
storico-folkloristico
già concordata
con
l’amministrazione
comunale di
Genova. Ciò a
riconfermare
l’origine
genovese (la
fedelissima nei
secoli
Colonia
Ianuensis)
di quanto rimane
— ed è ancora
molto nonostante
le
sofisticazioni —
dell’antico
baluardo della
repubblica di
San Giorgio,
Zena ciù ùn
carruggio,
come nel
vecchissimo
detto popolare.
Non sarà mai fatto abbastanza da chi
compete, per
conservare le
vestigia
storiche ed il
carattere,
stranamente
anacronistico e
intensamente
pittorico, della
parte
archeologica di
Porto Venere, e
sappiamo che ne
è fermamente
convinto
l’attuale
sindaco e fa
quanto possibile
« sola contro
tutti», secondo
l’espressione
stessa del
professor Dillon,
la
sovrintendenza
ai monumenti
della Liguria.
Sappiamo anche che scarseggiano i fondi per
dare un assetto
decente e
funzionale al
grande castello
del secolo XV,
portandolo
almeno alla pari
con quello di
Lerìci; per
rabberciare mura
e torri là dove
ne hanno
bisogno, e via
dicendo. Ma vi
sono, a nostro
parere, cose che
non costano
molto, salvo un
po’ di
raziocinio, di
organizzazione
e, soprattutto,
di ordine e
pulizia.
Così la vecchia porta medioevale d’entrata
al borgo, con le
turrite
adiacenze, i
cimeli di epoche
passate ed in
particolare la
preziosa lapide
a ricordo della
strenua difesa
della
piazzaforte nel
1242, la quale,
dopo la graduale
sparizione delle
analoghe porte
di Genova
Vecchia, si
avvia a divenire
una rarità
archeologica,
dovrebbe
ricevere le
maggiori cure.
E - che dire dell’invasione degli automezzi
sul fronte a
mare delle ormai
venerande,
case-fortezza
del 1113? La
questione di
liberarne le
calate,
provvedendo in
altro modo al
traffico ed ai
posteggi, è
ormai vecchia e
dibattuta e vi
sono, a nostro
parere, tre
ragioni
principali che
consigliano di
fermare i «quattroruote
» all’entrata
dello storico
borgo, come, del
resto è stato
fatto a
Portofino: 1)
dare maggior
respiro alle
necessità
pedonistiche
della
popolazione,
nonché dei
villeggianti e
visitatori;
2)mantenere il
suo carattere
rustico e
paesaggistico al
vecchio borgo,
che ha tutto da
perdere
dall’invasione
della modernità;
3) assicurare il
necessario
svolgimento al
traffico
marittimo e da
pesca al quale,
di diritto,
appartengono i
pontili e le
calate.
Si abbia quindi il coraggio di adottare il
provvedimento,
ora che la nuova
strada litoranea
verso le
insenature
dell’Olivo offre
maggiori
possibilità al
traffico e alla
sosta degli
automezzi. E’
certo però che
la questione del
posteggio delle
macchine si fa
ogni giorno più
pressante e in
un certo senso
allarmante, e
dovrebbe essere
affrontata con
qualche
provvedimento
radicale, ma
sempre fuori
della zona
archeologica, in
modo da ben
separare il
sacro dal
profano!
Vorremmo anche raccomandare, ma qui il
discorso si fa
troppo lungo e
scottante, che
nella
valorizzazione
delle pendici e
rispettive
calanche verso
l’altrettanto
pittorico
promontorio del
Cavo non si
esagerasse nel
distruggere le
già apriche
spiagge e
spiaggette che
ne costituivano
la principale
attrattiva,
limitando il più
possibile le
concessioni, in
modo che la
popolazione e i
bagnanti in
genere (i
bambini in
special modo)
possano
continuare ad
avere il libero
uso delle poche
spiagge rimaste.
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